Cambiamento climatico: crescita e diffusione delle micotossine

10/06/2019

Numerosi studi confermano il ruolo determinante dell’ambiente (e più in generale del clima) nel definire la velocità di diffusione di una malattia nello spazio e nel tempo predisponendo, inoltre, nuovi ospiti all’attacco di microrganismi.

Recentemente, particolare attenzione è stata rivolta al possibile impatto del cambiamento climatico sulla riproduzione e sulla crescita di alcuni funghi saprofiti e sulla conseguente produzione di micotossine.

Queste sostanze sono metaboliti secondari di specie o ceppi differenti appartenenti alla stessa specie microbica; esse possono essere classificate, seppur in presenza di strutture chimiche estremamente eterogenee, in: aflatossine (prodotte soprattutto da Aspergillus spp.), fumosinine, zearalenone e tricoteceni (da Fusarium spp.). 

Il cambiamento climatico potrebbe influenzare le comunità fungine modificando direttamente il tasso di formazione delle micotossine senza indurre alterazioni a livello strutturale, o indirettamente, con conseguenze negative sulla loro distribuzione e diffusione. Inoltre, questo fenomeno potrebbe non solo provocare mutazioni genetiche nel DNA, ma anche favorire la differenziazione di nuovi microrganismi. In particolare, è ormai noto che numerose micotossine hanno una spiccata attività mutagena. 

Appare evidente che la contaminazione da micotossine sia da considerarsi un problema socio-sanitario globale strettamente correlato al cambiamento climatico, che rappresenta un elemento chiave per lo sviluppo fungino, la presenza e la produzione di metaboliti secondari tossici per l’uomo e gli animali, con evidenti ricadute negative che si estendono all’ambito alimentare e zootecnico.

La prevenzione rappresenta il metodo più efficace che può essere applicato in tre distinte fasi operative della filiera di produzione degli alimenti o dei mangimi. In pre-raccolta, una corretta scelta del materiale vegetale (ad esempio varietà resistenti alla colonizzazione da parte di funghi tossigeni o allo stress idrico) e l’applicazione di idonee pratiche agronomiche (ad esempio avvicendamenti colturali, fertilizzazione, contrasto alle infestanti, trattamenti antiparassitari) sono da considerarsi ottime strategie preventive.

Approfondire e migliorare le conoscenze circa questa tematica risulta di primaria importanza allo scopo di valutare e gestire il rischio di presenti e future contaminazioni. Questo è l’obiettivo di “CO.MICO”, un progetto di ricerca d’ateneo del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa che prevede il coinvolgimento di esperti di zootecnia, meccanica e idrologia agraria, patologia vegetale ed economia agraria. 

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