Microplastiche nel sangue umano: la scoperta di un team di ricercatori olandesi

31/03/2022

Per la prima volta le microplastiche sono state individuate nel sangue umano.

La scoperta di un team di ricercatori olandesi è descritta nello studio appena pubblicato su Environment International. E rivela il ritrovamento di plastica nel sangue del 77% dei partecipanti alla ricerca.

Gli scienziati hanno cercato 5 polimeri tra i più diffusi nei materiali plastici:

  •  polietilene (PE), impiegato nella produzione di coperchi e contenitori per alimenti, come le borracce che cedono sostanze chimiche all’acqua contenuta, di cui abbiamo riferito, 
  •  polipropilene (PP), un polimero termoplastico molto usato nella produzione di contenitori per alimenti,
  •  polietilene tereftalato (PET), l’uso più comune è nell’imbottigliamento di acqua e bevande, anche in questo caso con il rischio di migrazione di sostanze chimiche nell’alimento, come abbiamo visto, 
  • materiali contenenti stirene polimerizzato (PS), come polistirene, polistirene espanso (EPS) e acrilonitrile butadiene stirene (ABS),
  •  poli(metilmetilacrilato) (PMMA), meno diffuso nei consumi ma selezionato dai ricercatori perché utilizzato in varie applicazioni all’interno del corpo umano (inclusi i filler sintetici in medicina estetica).

Queste sostanze si trovano nei materiali a contatto con gli alimenti (MOCA), nei tessuti e in molti prodotti di consumo di uso quotidiano, inclusi quelli ‘per la cura della persona che potrebbero essere ingeriti (es. PE nel dentifricio, PET nel lucidalabbra), polimeri dentali, nanoparticelle polimeriche di rilascio di farmaci (ad es. PMMA, PS), residui di inchiostro per tatuaggi (ad es. particelle di acrilonitrile-butadiene stirene)’, avvertono gli autori dello studio.

Di conseguenza questi polimeri sono anche tra i più diffusi inquinanti plastici ambientali, presenti nell’aria, nell’acqua e negli alimenti, vie di esposizione (per ingestione e inalazione) incontrollabili. 

Dagli animali all’uomo, lo studio in esame ‘supporta l’ipotesi che l’esposizione umana alle particelle di plastica determini l’assorbimento delle particelle nel flusso sanguigno. Ciò indica che almeno alcune delle particelle di plastica con cui gli esseri umani entrano in contatto possono essere biodisponibili e che la velocità di eliminazione, ad esempio, attraverso le vie biliari, i reni o il trasferimento e la deposizione negli organi è più lenta della velocità di assorbimento nel sangue’, concludono i ricercatori.

 

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