Studio: ridurre il consumo di prodotto ultra-processati. L'etichetta nutrizionale non basta!

09/09/2022

Gli alimenti non sono caratterizzati solo dalla loro composizione e qualità nutrizionale, ma anche dal grado di lavorazione a cui sono sottoposti.

Quest’ultimo elemento risulta cruciale per conoscere il reale effetto del cibo sulla salute, e la sua indicazione sulle etichette aiuterebbe i consumatori a scegliere con maggiore consapevolezza.

Sono i risultati di uno studio italiano realizzato dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS) in collaborazione con l’Università dell’Insubria di Varese e Como, l’Università di Catania e Mediterranea Cardiocentro di Napoli. Pubblicata sulla prestigiosa rivista British Medical Journal, che le ha dedicato anche un editoriale, la ricerca ha indagato quale aspetto dell’alimentazione definisca meglio il rischio di mortalità. I ricercatori hanno monitorato per 12 anni lo stato di salute di oltre 22mila persone partecipanti al Progetto epidemiologico Moli-sani e lo hanno correlato con le loro abitudini alimentari, prendendo in considerazione sia gli aspetti nutrizionali che quelli legati al grado di trasformazione dei cibi.

Una soluzione suggerita per fare scelte alimentari più salutari è quella di utilizzare un sistema di etichettatura per i prodotti commerciali. Già utilizzate da tempo su base volontaria in alcuni Paesi europei, come Francia e Spagna, ora le etichette alimentari sono al vaglio della Commissione Europea che vorrebbe identificare un unico sistema da applicare in tutti gli Stati membri. Il Nutri-Score, sviluppato in Francia, è dato come favorito. Il sistema valuta la qualità nutrizionale di un alimento (ad esempio in base al contenuto di grassi, sale, fibre, etc.), con una scala di cinque colori, che vanno dal verde (cibo più salutare) al rosso e a cui corrispondono le prime cinque lettere dell’alfabeto, A-B-C-D-E.

Ma secondo questa ricerca la qualità nutrizionale non è l’unico fattore da tenere in considerazione.

La classificazione NOVA, in particolare, invece di valutare un alimento sulla base delle caratteristiche nutrizionali guarda piuttosto a quanto quel prodotto sia stato lavorato a livello industriale. Il sistema NOVA identifica, nello specifico, gli alimenti cosiddetti ultra-processati, ossia quei cibi fatti in parte o interamente con sostanze che non vengono utilizzate abitualmente in cucina (proteine idrolizzate, maltodestrine, grassi idrogenati…) e che contengono generalmente diversi additivi, come coloranti, conservanti, antiossidanti, anti-agglomeranti, esaltatori di sapidità ed edulcoranti. Fanno parte di questa categoria bevande zuccherate e gassate, prodotti da forno preconfezionati, creme spalmabili, ma anche prodotti apparentemente insospettabili, come fette biscottate, alcuni cereali per la colazione, cracker e yogurt alla frutta. In base al sistema NOVA, proposto una decina di anni fa da un team di ricercatori brasiliani, una fettina di carne sarebbe preferibile a un hamburger vegano, semplicemente perché la prima non ha subito manipolazioni industriali e verosimilmente non contiene additivi alimentari, mentre il secondo è il risultato di un’articolata lavorazione industriale al termine della quale la percentuale di alimento rimasto integro diventa marginale.

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