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Che cos'è il cloud seeding? "La tecnica per far piovere di più"

24/07/2023

Il cloud seeding, in italiano qualcosa come “inseminazione delle nuvole”, è una tecnica di stimolazione artificiale delle piogge basata sulla diffusione di getti di ioduro d’argento o di ghiaccio secco (anidride carbonica allo stato solido) all’interno di determinate nuvole, da aerei appositi o tramite cannoni da terra. È nota in meteorologia fin dagli anni Cinquanta, ma esistono da tempo dubbi e perplessità sulla sua efficacia e sulla sua concreta utilità. Per questo motivo, nel corso dei decenni, il suo utilizzo è sostanzialmente rimasto un fenomeno di nicchia.

Da qualche tempo, anche a causa dell’intensificazione dei fenomeni associati al cambiamento climatico, il cloud seeding è tuttavia considerato da un crescente numero di agenzie governative, agricoltori e imprenditori un modo relativamente abbordabile di mitigare alcuni effetti a breve termine dei prolungati periodi di siccità. Ad aziende che offrono servizi di questo tipo ricorre da tempo il governo degli Emirati Arabi Uniti, un paese molto poco piovoso. Ma ultimamente la richiesta è aumentata anche negli Stati Uniti occidentali e in Messico, dove il cloud seeding è visto come un’alternativa più economica a tecnologie più impegnative come la desalinizzazione dell’acqua pompata nell’entroterra dall’Oceano Pacifico o dal Golfo del Messico.

In Italia, dove esperimenti di stimolazione artificiale della pioggia furono condotti per alcuni anni in Puglia, Sicilia, Sardegna e Basilicata, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, il cloud seeding è generalmente tradotto come “inseminazione delle nuvole”. La sperimentazione diede buoni risultati soltanto nel primo anno, in Puglia: una media del 30 per cento in più di precipitazioni rispetto alla media cinquantennale nell’area di intervento. Dopo il primo anno una prolungata siccità condizionò i risultati dell’esperimento, riducendo drasticamente la presenza di sistemi nuvolosi adatti a stimolare le precipitazioni e mostrando uno dei principali limiti di questa tecnica.

In sostanza ogni attività di cloud seeding richiede prima di tutto l’individuazione di nuvole sufficientemente cariche di umidità e adatte anche per altre caratteristiche, in cui iniettare le sostanze in grado di favorire la condensazione del vapore e aumentare le precipitazioni. «È come prendere una spugna gocciolante e strizzarla», ha spiegato al Wall Street Journal Jonathan Jennings, meteorologo della West Texas Weather Modification Association, un’associazione che su autorizzazione dello stato del Texas si occupa fin dagli anni Novanta di un progetto di induzione delle piogge in sei contee occidentali.

Secondo dati condivisi dall’associazione il cloud seeding è in grado di aumentare del 15 per cento le piogge annuali in una determinata area, rispetto ai livelli normali. E questo aumento si traduce in circa 50 mm di precipitazioni in più all’anno: acqua che può essere utilizzata per irrigare le coltivazioni durante i periodi di siccità e in generale per ricaricare le falde acquifere sotterranee, a cui attingono agricoltori, allevatori e residenti nelle zone rurali del Texas occidentale. Altri utilizzi del cloud seeding – meno comuni ma in alcuni casi di lunghissima durata, come in Colorado – riguardano l’induzione di nevicate più abbondanti nelle stazioni sciistiche.

Un’altra ragione dello scetticismo che da sempre circola intorno al cloud seeding riguarda il fatto che non sia possibile avere alcuna prova definitiva della sua efficacia; il tempo è imprevedibile, non è possibile avere alcuna certezza che nell’area in cui ghiaccio secco o ioduro d’argento sono stati diffusi nelle nuvole non avrebbe piovuto o nevicato comunque, anche senza cloud seeding.

 

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